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sabato 19 marzo 2011

Ma quanto paghiamo in realtà in bolletta per le rinnovabili? Poco.


Sentiamo ormai da tempo dire che le rinnovabili sono incentivate mediante "gabelle" in bolletta elettrica.
In realtà, con il solito italico ingegno, la gabella in questione non va solo alle rinnovabili, ma va a "rinnovabili ed assimilate". Ma cosa sono queste "assimilate"?
Partiamo dall'inizio, spiegando cos'è il CIP 6. Il CIP 6 non è il dolce cinguettìo di un uccellino, bensì una delibera del Comitato Interministeriale Prezzi adottata il 29 aprile 1992 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n°109 del 12 maggio 1992) a seguito della legge n. 9 del 1991, con cui sono stabiliti prezzi incentivati per l'energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili e "assimilate".
Grazie a questa delibera, chi produce energia elettrica da fonte rinnovabile può rivenderla al Gestore dei Servizi Elettrici (GSE) a prezzo superiore a quello di mercato.
Fin qui, tutto bene. Se lo Stato vuol premiare chi produce pulito può farlo benissimo.
A questo punto arriva il famigerato asino che, poverino, come al solito, casca.
In Italia, infatti, le aziende esercenti gli inceneritori di rifiuti rivendono l'energia elettrica prodotta a prezzo maggiorato in base all'applicazione del CIP 6 poichè il processo di produzione viene considerato per Legge derivato da fonti rinnovabili.
È da notare che l'Italia è l'unico Paese nel quale viene concesso l'incentivo anche alla produzione di energia elettrica tramite procedimenti quale ad esempio il carbone o la combustione dei rifiuti urbani negli inceneritori.
Ciò, ad avviso di varie parti, costituirebbe una violazione delle direttive europee in materia che considera assimilata a quella prodotta da fonti rinnovabili esclusivamente l'energia ricavata dalla parte organica dei rifiuti (ovvero gli scarti vegetali e quindi anche quelli agricoli).
Va detto, tuttavia, che il testo della normativa CIP 6 inserisce "la trasformazione dei rifiuti organici e inorganici o di prodotti vegetali" tra le "fonti rinnovabili" di energia e non tra le "fonti assimilate", come si legge chiaramente nel primo comma dell'articolo unico del provvedimento.
Riguardo a ciò , L'UE si è anche espressa nel 2003 in questo modo:
"La Commissione conferma che, ai sensi della definizione dell'articolo 2, lettera b) della direttiva 2001/77/ CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001, sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità (1), la frazione non biodegradabile dei rifiuti non può essere considerata fonte di energia rinnovabile.
La direttiva intende principalmente promuovere un maggiore uso di fonti energetiche rinnovabili nella produzione di elettricità ma non istituisce un regime di sostegno finanziario al riguardo. Entro il mese di ottobre 2005 la Commissione presenterà una relazione sui vari regimi di sostegno vigenti negli Stati membri e, se del caso, correderà tale relazione di una proposta di quadro comunitario per l'elaborazione di regimi di incentivazione per l'energia prodotta da fonti rinnovabili, come ad esempio i «certificati verdi». Per quanto riguarda l'ammissibilità agli incentivi previsti per le fonti di energia rinnovabili, le disposizioni della direttiva 2001/77/CE si limitano a stabilire che il regime di sostegno deve esplicarsi «nel rispetto degli articoli 87 e 88 del trattato». La normativa nazionale che annovera i rifiuti non biodegradabili tra le fonti di energia rinnovabili deve pertanto essere conforme alle norme della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela dell'ambiente.
Risulta chiaro che le disposizioni specifiche della disciplina comunitaria relative agli aiuti destinati alle fonti energetiche rinnovabili (punti E.1.3 e E.3.3) sono applicabili soltanto alle fonti rinnovabili che rispondono alla definizione dell'articolo 2 della direttiva 2001/77/CE (cfr. punto 6 e nota a piè di pagina 7 della disciplina comunitaria). Le suddette disposizioni non si applicano pertanto agli aiuti per la produzione di energia da rifiuti non biodegradabili. Tali aiuti possono tuttavia essere conformi alle disposizioni relative agli aiuti al funzionamento concessi per la gestione dei rifiuti (punto E.3.1 della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela dell'ambiente).
Gli obiettivi della direttiva 2001/77/CE vanno considerati congiuntamente ai principi stabiliti dalla strategia comunitaria in materia di gestione dei rifiuti. Le disposizioni nazionali che prevedono aiuti non differenziati (riguardanti quindi anche la frazione non biodegradabile) per l'incenerimento dei rifiuti devono dimostrare che sono compatibili con il principio della prevenzione della produzione di rifiuti e che non costituiscono un ostacolo al reimpiego e al riciclaggio dei rifiuti stessi.
La Commissione esaminerà attentamente le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative messe in applicazione dagli Stati membri per conformarsi alla direttiva 2001/77/CE".
Con questo cosa voglio dire, direbbe il comico Paolo Cevoli nei panni dell'Assessore alle "varie ed eventuali" Palmiro Cangini? Semplice, se parte di questa gabella che paghiamo in bolletta non va alle rinnovabili vere e proprie, significa in pratica che queste non sono poi così care per le bollette. La parte destinata alle rinnovabili è meno della metà. Per l'esattezza il 46,5%. Ed il restante 53,5%, quindi?
Il 4,9% viene ancora destinato per gestire il vecchio nucleare improduttivo, il 20,7% per il CIP 6 e il 6,1% per le ferrovie dello Stato. Ferrovie dello Stato? Non sapevo che le FS fossero rinnovabili. Se qualcuno ha visto tracce di rinnovamento (a parte le varie frecce rosse, d'argento, bianche e multicolori) nelle FS, per favore me lo scriva.
La restante parte, con un cavillo giuridico di italico ingegno è stata destinata alle fonti fossili. Stiamo parlando del 21,8% che incentiva petrolio ed altro.
Sapete quanto abbiamo pagato per queste vecchie fonti e per il vecchio improduttivo nucleare dal 1992 (anno di partenza del CIP 6) ad oggi? Circa 50 miliardi di Euro.
Oltre ad essere incentivate meno della metà di quello che tutti crediamo, le rinnovabili portano enormi benefici allo Stato. In che modo? Con tasse sugli utili ricavati dalle imprese che gestiscono impianti fotovoltaici che permettono allo Stato di riprendersi parte dell'incentivo erogato. In soldoni, lo Stato nel 2010 ha erogato incentivi alle rinnovabili per 2,7 miliardi di Euro a fronte dei 5,8 che ha incassato con la famosa "gabella" (il 46,5% appunto) e nel 2009, secondo uno studio del Politecnico di Milano ha incassato 300 milioni di Euro. Inoltre, dato che ogni Gigawatt di fotovoltaico installato contribuisce ad evitare emissioni di 740.000 tonnellate di CO2 nell'atmosfera, ci eviterebbe di pagare le multe all'Unione Europea che stiamo pagando per inadempienza al protocollo di Kyoto. Un vero e proprio ulteriore vantaggio economico indiretto per lo Stato.
Le rinnovabili, inoltre, secondo uno studio di APER e di Pöyry Management Consultingpotrebbero incidere positivamente sulla bolletta degli italiani nel 2013 facendo risparmiare 660 milioni di Euro, dato che, essendo diffuse su tutto il territorio italiano, consentirebbero risparmi di costi di trasporto dell'energia per minore dispersione lungo la linea verso zone, come le isole, lontane dai luoghi di produzione.
In ultima istanza bisogna considerare un altro importantissimo aspetto, quello che riguarda il sovrapprezzo che la rete elettrica paga nelle ore di punta della mattina e del pomeriggio e nei momenti di picco dei consumi, ad esempio durante le calde giornate estive. E' proprio in questi periodi che i produttori ottengono i prezzi maggiori, ed è proprio in questi momenti che il fotovoltaico produce di più.
La presenza di una forte produzione fotovoltaica concentrata nelle ore più calde del giorno, quando la domanda è al massimo, alzerebbe il livello di domanda che fa scattare le tariffe più alte e più convenienti per i grandi produttori da fonti non rinnovabili.
Non sarà mica proprio per questo che si è deciso di tagliare gli incentivi al fotovoltaico?

venerdì 18 marzo 2011

Energia solare secondo il Professor Rubbia


L'amico Walter, nel suo blog "Attimi di pensiero non lineare" ha citato un articolo del Professor Rubbia a proposito dell'energia da fonte solare merita di essere letto.

giovedì 17 marzo 2011

Energia, economia, agricoltura e, soprattutto salute.


Con il tremendo terremoto in Giappone stiamo assistendo, oltre al dramma del popolo giapponese che sta reagendo con la sua consueta dignità, ad una rivoluzione in termini consapevolezza dei limiti umani. L'uomo fa di tutto, ovviamente per cercare di portare economie alle proprie produzioni. L'energia da fonte nucleare sembra essere la più economica. L'energia da fonte rinnovabile, al momento sembra essere meno economica di quella nucleare.
A questo punto occorre introdurre un nuovo concetto, è un concetto che io definisco di "adattabilità umana", ovvero quanto queste tecnologie si adattano all'uomo.
La tecnologia nucleare ben si adatta all'economia (adesso, in questa precisa fase storica) ma mal si adatta all'uomo: per quanto l'uomo possa fare per renderla sicura, Madre Natura con la sua potenza può sempre mettere in evidenza fallanze non calcolate. Il caso dei reattori giapponesi di Fukushima ne sono un caso evidente.

Le varie (e si badi bene al termine "varie") tecnologie di produzione da fonte rinnovabile sono al momento (e anche qui, si badi bene all'espressione "al momento") meno convenienti dal punto di vista economico, ma sicuramente ben più adattabili all'uomo. Non inquinano, presentano un bilancio energetico (soprattutto il fotovoltaico) attivo (il bilancio energetico è dato dalla somma algebrica delle emissioni di CO2 prodotte durante la costruzione dell'impianto stesso e quelle prodotte durante la vita dell'impianto N.D.R.), sono al momento riciclabili al 95% (fotovoltaico) e, soprattutto non presentano il gravoso problema dello stoccaggio delle scorie.
In questo momento, con il "decreto Romani" si è dato un brusco stop alla produzione da fonte fotovoltaica continuando a perseguire l'obiettivo del nucleare. A questo punto io, personalmente mi pongo alcune riflessioni.
1. Da qui a quando sarà pronta la prima centrale nucleare italiana passeranno comunque molti anni.
2. Le tecnologie per le rinnovabili stanno correndo. Stanno aumentando la loro efficienza, stanno diminuendo i loro costi.
3. Quando sarà pronta la prima centrale nucleare, le rinnovabili avranno raggiunto un alto grado di efficienza che avranno anche già potuto sperimentare sul campo producendo. Pensate a quanti impianti di produzione di energia rinnovabile si possono costruire in una quindicina d'anni (tempo medio di costruzione di una centrale nucleare).
4. Con le rinnovabili si avrà anche un nuovo tipo di produzione energetica. Una produzione diffusa su tutto il territorio che, in caso di guasto di un impianto non produrrà ripercussioni su vasta scala.
5. Di questo tipo di produzione potranno beneficiare tutti: dal privato con il suo impiantino sul tetto, all'azienda con il suo impianto più grande sempre sul tetto, agli agricoltori che in questo modo potranno sfruttare in un modo nuovo e più redditizio i loro terreni.
Essendo il mio un blog di agricoltura, vorrei spiegare quali sono le modalità che consentono ad un agricoltore di installare un impianto fotovoltaico su terreno.
1. L'impianto non deve avere una estensione superiore al 10% della superficie da lui coltivata.
2. L'impianto non deve avere una potenza installata superiore ad 1 MWp.
Entrando nella pratica, perchè un impianto fotovoltaico sia sostenibile economicamente per l'agricoltore, di sicuro, al momento mai e poi mai sarà superiore al Megawatt poiché l'agricoltore, dato il costo, non riuscirebbe, salvo pochi casi, ad ottenere i finanziamenti necessari per costruirlo. In seconda battuta, rapportando la capacità di accesso al finanziamento dell'agricoltore con gli ettari da lui coltivati, in quasi nessun caso, la superficie dell'impianto fotovoltaico supererebbe il 3%, restando quindi comunque ben lontana da quel 10% imposto dalla Legge.
A questo punto, credo sia importante una riflessione.
Se tutti hanno potenzialmente la possibilità di diventare produttori di energia (e sempre più persone l'avranno, perchè la tecnologia galoppa ed i costi scendono), se gli agricoltori possono finalmente diventare produttori di energia senza praticamente sottrarre terreno alla produzione alimentare, ma potendo così finalmente trovare reddito per le proprie aziende, quanta energia pulita si immetterebbe nella rete? La risposta è semplice, molta. Ce lo insegna anche un illustre economista come Jeremy Rifkin. Se non lo conoscete, quipotete vedere chi è, nonchè vedere una sua intervista rilasciata a Striscia la notizia.
Dov'è l'inghippo?
L'inghippo è "nascosto" (notate le virgolette) nel fatto che poche centrali enormi e costosissime, sono più "controllabili" (sempre tra virgolette).
Ancora una volta, quindi, le economie di scala battono l'adattabilità umana. Noi agricoltori, purtroppo siamo abituati a questo. Produciamo, infatti, gli unici beni fondamentali per l'uomo che sono gli alimenti e veniamo trattati come l'ultima ruota del carro.
A questo punto, peró si pone una grande occasione. Molti cittadini possono unirsi agli agricoltori e diventare produttori di energia pulita, facendola crescere a ritmi elevati e dando segnali forti in primis, e contribuendo alla diminuzione progressiva dei costi e al perfezionamento delle tecnologie in seconda battuta.
Si formerebbe così un grande "massa critica" che aiuterebbe tutti. I cittadini, l'energia pulita e, cosa non secondaria, chi produce con fatica gli alimenti che gli stessi cittadini mangiano. Eh si, perchè se finalmente un'azienda agricola potesse contare su margini quantomeno dignitosi, potrebbe crescere e produrre alimenti di sempre maggior qualità.
Ricordatevi amici, che la qualità che vedete pubblicizzata negli spot dei supermercati, non la producono loro. Loro la comprano solo pagandola a prezzi da fame e ve la rivendono con un ben preciso margine.
Tutta l'Europa sta rivedendo la propria politica nucleare. Persino gli Stati Uniti lo stanno facendo. Ma allora, non sarebbe meglio seguire la stessa strada? Paradossalmente, se si dovessero spegnere tutte le centrali nucleari del mondo, il prezzo dell'energia elettrica si uniformerebbe per tutti. Per un po' di tempo verso l'alto sicuramente, ma poi verso il basso con l'impiego di nuove tecnologie per le rinnovabili e con l'impiego di persone prima addette al nucleare che troverebbero un impiego più salubre. Non ci sarebbero paesi dove l'energia costerebbe di meno e alte i dove costerebbe di più. I paesi con molto sole sfrutterebbero quello, quelli con meno sole, vale a dire quelli nordici, sfrutterebbero il vento di cui sono ricchi.
E le centrali a petrolio? Ma non è forse qualche anno che ci stanno dicendo che un giorno non lontano dovrà finire? Piano piano, verranno spente (la logica così dice) perchè senza carburante. Anche qui, con le rinnovabili che ormai avranno raggiunto standard elevatissimi, saremo sicuri che le persone non perderanno il lavoro. Acquisteranno salute. 



Il Parlamento Europeo approva la risoluzione sull'agricoltura UE e il commercio internazionale


Il Parlamento Europeo l'8 marzo ha approvato la risoluzione sull'agricoltura dell'Ue e il commercio internazionale, con la quale i deputati chiedono con forza alla Commissione di smettere di rilasciare concessioni per ottenere accesso ai mercati di paesi terzi a discapito del settore agricolo e sottolineano i rischi derivanti dai negoziati con il Mercosur e dall'accordo con il Marocco.
Come più volte detto, siamo in un momento di transizione epocale per quanto riguarda la Politica Agricola Comune, per cui è imperativo trovare coerenza tra questa e le varie politiche dei Paesi concorrenti in agricoltura di quelli Europei.
In particolare, è necessario tutelare gli interessi degli agricoltori europei che garantiscono il raggiungimento di molti beni pubblici quali, fra gli altri, la sicurezza e la qualità alimentare.
A tal proposito, nella risoluzione, vengono inserite norme che prevedono la garanzia della reciprocità per i produttori europei,  attraverso la richiesta di applicazione, per gli esportatori di carne in Europa, degli stessi vincoli vigenti per i produttori europei, al fine di garantire la sicurezza del consumatore e una giusta competizione commerciale.
Il Presidente della Commagri Paolo De Castro esprime la sua soddisfazione:
“Abbiamo chiesto e ottenuto dall'esecutivo - continua De Castro - di evitare di fare concessioni che potrebbero avere un impatto negativo sull'agricoltura dell'Unione in sede di negoziati commerciali extra-Ue”.
“Protezione degli interessi dei nostri agricoltori durante i negoziati internazionali, primo fra tutti quello con il Mercosur: è questo - ha detto De Castro - l'obiettivo che oggi abbiamo raggiunto in Aula dopo un lungo e complesso lavoro che ci ha visti impegnati negli ultimi mesi in Commissione Agricoltura. A tal riguardo, sono stati accolti tutti i 61 paragrafi della Relazione, compreso il numero 47 nel quale abbiamo chiesto alla Commissione di presentare una valutazione d'impatto prima della conclusione dei negoziati. Un documento importante per garantire un mercato più trasparente, orientato al concetto della cosiddetta reciprocità delle regole e che favorisca la prospettiva di una maggiore convergenza a livello internazionale degli standard applicati dall'Unione europea. Un tema sul quale abbiamo discusso più volte in Commissione sin dall'inizio della legislatura e che consideriamo fondamentale per evitare che gli sforzi europei in tema di benessere animale, qualità, ambiente vengano vanificati da un mercato incapace di riconoscere i valori sociali incorporati in un prodotto. Il risultato di oggi, ha concluso l'ex ministro, ci dà fiducia per completare il cammino necessario a ridurre gli impatti distorsivi derivanti dalla possibilità che player al di fuori del sistema di regole comunitario possano tradurre i minori vincoli cui sono sottoposti in maggiori vantaggi competitivi".
Fonte:  Paolo De Castro - Presidente Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo

sabato 5 marzo 2011

Lettera al Ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani


Illustrissimo Signor Ministro,
mi chiamo Davide Stringa e sono un agricoltore di 38 anni di Pontecurone in Provincia di Alessandria. Come Lei ben saprà, l’agricoltura sta vivendo un periodo di crisi che si trascina ormai da ben più dei tre anni di congiuntura sfavorevole a livello mondiale: la nostra crisi dura da ben dodici anni. Nessuno ne ha mai parlato. I precedenti ministri delle Politiche Agricole non hanno mai tutelato il nostro comparto. Le DOP e le IGP, tanto care all’ex Ministro Zaia, è vero che sono un patrimoni dell’Italia, ma rappresentano ahimè solo una piccolissima percentuale del PIL agricolo.
Le grandi produzioni, che sono quelle che effettivamente costituiscono oltre il 90% dei redditi delle aziende agricole italiane, da anni vengono svendute in sede di Unione Europea. Vengono barattate e distrutte. Un caso per tutti è quello del comparto bieticolo-saccarifero che ha visto la chiusura di importanti zuccherifici italiani con l’erogazione di fondi alle industrie saccarifere per chiudere e qualche briciolina agli agricoltori che, non potendo più coltivare barbabietola da zucchero, hanno perso reddito. La barbabietola, infatti, era una delle pochissime colture redditizie. Oltre il danno, la beffa. L’Italia, produttrice di ottimo zucchero, deve ora importare zucchero di scarsissima qualità ed igiene da Paesi esteri, spesso del terzo mondo che non possono garantire tracciabilità e metodi di coltivazione salubri. Ora, la poca e superstite barbabietola da zucchero coltivata in Italia, viene pagata circa la metà di quello che valeva fino al momento della distruzione del comparto saccarifero.
Su questo tono potrei continuare citando decine di colture, prime fra tutte il pomodoro da industria.
E’ vero che si assiste ad un aumento dei prezzi di alcune colture, ad esempio il grano, però è opportuno precisare alcune cose fondamentali.
  1. Le quotazioni sui mercati non corrispondono ai reali prezzi di acquisto: il grano viene effettivamente acquistato a prezzi più bassi rispetto alle quotazioni sui mercati.
  2. Se anche venisse acquistato ai prezzi delle quotazioni, queste, in valore assoluto, sono pari alle quotazioni di VENTI anni fa. Le faccio un esempio: nel 1994, il prezzo del grano tenero passò da quello che era il prezzo standard di 30-35.000 Lire al quintale, a 50.000. Vale a dire da 15,50-18,00 Euro a 26. Facendo le dovute valutazioni dell'effetto dell'inflazione, il prezzo del 1994 passava da 26-30 Euro al quintale a 43. Oppure, ragionando al contrario, quello di oggi, vista la riduzione del potere d'acquisto della moneta unica, passerebbe dalle allora 18-21.000 Lire a 30.000 Lire.
  3. I costi dei mezzi di produzione sono, ovviamente, aumentati sull’onda delle bolle speculative sui prezzi delle commodities a livello mondiale.
  4. Ritornano i soliti “furbetti” a mettere in giro le voci che, a seguito degli aumenti dei prezzi delle materie prime, aumenteranno i prezzi al consumo di pane, pasta e altro. Lei lo sa quanto incide effettivamente il prezzo del grano sul prodotto da forno finito? Io mi vergogno a dirglielo e la invito a farselo dire da industriali alimentari onesti. Le dico solo che, se anche il prezzo del grano raddoppiasse, il prezzo del pane al dettaglio ne risentirebbe di pochissimi centesimi al chilo.
Oggi l’agricoltura ha una grande possibilità. Quello di diventare anche produttore di energia oltre che di alimenti. Il fotovoltaico, ad esempio, andando ad occupare una superficie minima di terreno di un’azienda media italiana, può produrre molta energia. Per un megawatt, oggi ci vogliono da 2,5 ai 3 ettari di aziende che, per estensione, possono permettersi un tale investimento. Tali aziende non hanno mai meno di 75-100 ettari.
Io stesso, tra le mille difficoltà della burocrazia italiana, sto faticosamente cercando di costruire un impianto fotovoltaico su terreno che potrebbe garantire un futuro alla mia azienda, martoriata come tutte, dalla crisi agricola.
Sto completando la documentazione da presentare alla Provincia di Alessandria (circa 5 mesi per poterla preparare, data la sua mole e complessità condita anche da ridondanza di documenti e relativi costi) e sto per consegnare alla banca, per il finanziamento, un business plan basato sulla tariffa di € 0,303 al kWh (tale è il contributo che il GSE mi erogherebbe allacciando l’impianto entro il 31 di agosto). Ho speso decine di migliaia di Euro in progetti e pratiche e non le dico il valore complessivo dell’investimento. Stavo finalmente per vedere la luce, come si dice, e lei cosa fa? All’improvviso cambia le carte in tavola.
Secondo il Suo decreto, da domani mattina (il 31 maggio per l’esattezza, data la complessità dei lavori da fare, non corrisponderebbe neanche a domani mattina, bensì ad oggi pomeriggio!) le tariffe caleranno.
E’ vero come dice Lei, Signor Ministro, che in questo modo vuole dare una spallata alla speculazione. Lodevole ed etico. Ma noi tutti che stiamo spendendo per investire basandoci su un conto Energia già deciso ci siamo trovati in braghe di tela. Chi ci ripaga degli sforzi e delle spese sostenute finora? Chi ci ripaga il mancato introito di vent’anni di Conto Energia che a questo punto ci verrà a mancare? E ci verrà a mancare non perché Lei, Signor Ministro, abolirà le tariffe (così ha detto), ma perché abbassandole, i nostri piani finanziari non staranno più in piedi e le banche non ci finanzieranno più. Allora perché, a seguito di tariffe di incentivo “politiche” più basse, per abbattere la speculazione non portare a prezzi “politici” imposti per Legge i moduli e le strutture? In questo modo, sicuramente, i nostri conti economici staranno ancora in piedi e le banche ci erogheranno i finanziamenti. Se etica è, deve esserlo a 360 gradi.
Inoltre aspettare fino ad aprile per sapere le nuove tariffe di lungo respiro (come le definisce Lei), che permettano di fare piani di investimento di tre anni in tre anni, invece che di tre mesi in tre mesi (e anche qui sono d’accordo con lei), è uno stillicidio. Come pensa che si possano realizzare impianti (che verranno per forza di cose bloccati per almeno due mesi a seguito di questa incertezza) prima della fine dell’estate? Per un impianto fotovoltaico, l’estate è vitale. L’estate è “quella cosa” che permette all’imprenditore che ha realizzato l’investimento fotovoltaico di portare a casa somme ingenti che, ahimè, l’inverno povero di Sole non permette.
Sono tantissime, come vede, le conseguenze negative che un Decreto che vuole riportare etica ad un settore fa ricadere su imprenditori che, come me, vogliono risollevare le sorti della propria azienda affossata già da anni da politiche folli, mediante un investimento etico come quello sul fotovoltaico.
E se di etica ancora si vuole parlare, non credo che tale sia la gogna burocratica a cui dobbiamo attenerci per realizzare un sano investimento sui nostri terreni. Le sembra etica l’ingerenza ormai totale dello Stato nelle opere sane che un agricoltore vuole realizzare a casa propria?
Lo Stato deve regolare, ma non può sempre e solo imporre difficoltà. Così non si va più avanti.
Cordiali saluti.
Davide Stringa

sabato 19 febbraio 2011

venerdì 18 febbraio 2011

Perse nel solo Piemonte 1.500 aziende agricole


In Piemonte nel 2010 si sono perse 1.500 aziende agricole che coinvolgono almeno 1.500 famiglie e 1.500-2.000 dipendenti. Il totale fa più o meno 7.000 persone che producevano alimenti per tutti noi e che ora si trovano senza lavoro.
Qualcuno ha sentito qualcosa sui media?
Io, francamente (e penso anche voi), ho sempre e solo sentito parlare dei 4-5.000 lavoratori FIAT (con tutto il rispetto per loro, per carità) che hanno indetto vari referendum, fatto vari scioperi, fatto perdere tanti soldi alla loro azienda.
Avete visto qualcuna di queste 7.000 persone fare scenate come incatenarsi a cancelli o altre trovate teatrali del genere?
No, non le avete viste, perchè hanno ancora una dignità. E proprio perchè hanno dignità non fanno notizia.
Da anni milioni di persone coinvolte nel comparto agricolo rischiano di perdere il lavoro o, peggio ancora, l'azienda di famiglia che con fatica hanno comprato e con fatica gestiscono.
Qualcuno lo sa?
No, però molti hanno ancora ben chiaro nella testa ciò che si permisero di fare poche migliaia di dipendenti Alitalia (sempre con tutto il rispetto per loro, percarità anche qui) e di come i media montarono un caso che, in fondo, coinvolgeva solo una media azienda italiana.
A nessuno viene in mente che centinaia di migliaia di aziende agricole fanno ben più di una media azienda italiana? Anzi fanno ben più di una grande azienda italiana. Anzi, fanno ben più di qualunque azienda. 
Cosa devono fare le aziende agricole per farsi notare e far arrivare a tutti il profondo disagio che stanno vivendo, visto che a nessuno sembrano interessare?

Che antipatica questa agricoltura


L’agricoltura italiana, da ancora l’ennesima prova della professionalità e della serietà con cui viene svolta. Da alcuni dati forniti durante un convegno su “Gas serra ed energie rinnovabili” organizzato dal Consorzio il Biologico di Bologna insieme al Bioenergy Expo di Veronafiere, emerge che l’agricoltura italiana è già ora allineata con i parametri del protocollo di Kyoto relativi alle emissioni di gas serra.
Dal 1990 al 2008 l’agricoltura ha fatto registrare un calo di emissioni del 12%, vale a dire il doppio di quel 6,5% fissato in generale dall’Italia nel protocollo di Kyoto.
Tutto questo è avvenuto pagando l’ennesimo scotto in termini di animali allevati e quindi di reddito.
Sapete cosa succede in tutti gli altri settori economici? Nello stesso periodo hanno aumentato le loro emissioni del 4,7%.
Perché, quindi, ancora una volta l’agricoltura deve sacrificarsi per tutti? Perché sono sempre gli agricoltori a dimostrarsi nel complesso i più seri rispettando (sempre in generale. Anche in agricoltura, ovviamente, ci sono le pecore nere) le regole a scapito del proprio reddito?
E perché questo non si sa, ma anzi, si continua su tutti i media a dipingere l’agricoltura come la principale inquinatrice del Paese, imponendole restrizioni ormai insostenibili dal punto di vista produttivo e, soprattutto, economico?
Addirittura ci sono state compagnie aeree che negli aeroporti affiggevano manifesti con su scritto “gli aerei inquinano meno dei bovini”. Francamente era troppo, oltre che ovviamente, logicamente falso ed offensivo verso una categoria che non ha poteri di lobby e non riesce mai a difendersi.
A proposito poi di energie rinnovabili, dovrà entrare in vigore un decreto Legge che impedirà alle aziende agricole di impiegare più del 15% della propria produzione per fare biogas. Perché questo? Perché negare ancora una volta all’agricoltura di poter tirarsi su economicamente?
A parte il fatto che non si capisce cosa voglia dire questo 15% (ettari, quintali di produzione, di produzione di cosa poi, visto che le aziende agricole coltivano più produzioni), cosa si pensa di ottenere? Una riduzione dei prezzi agricoli? Proprio ora che su alcune colture come i cereali arrivavano non a coprire semplicemente i costi di produzione, ma a dare anche un po’ di margine?
Allora è proprio vero che questa agricoltura sta antipatica a qualcuno.

mercoledì 16 febbraio 2011

Gas serra: L’agricoltura ora è più sostenibile - News - Agricoltura24

Gas serra: L’agricoltura ora è più sostenibile - News - Agricoltura24

La campagna dopo la pioggia

Post d'esordio al blog


Cari amici,
come vi dicevo, ho deciso che ogni tanto ripubblicherò il post d'esordio. In questo, infatti, spiego lo scopo del blog.
Non vogliatemene, ma ritengo sia necessario perchè anche i nuovi partecipanti al blog lo possano comprendere.
Grazie a tutti. 
Davide
Ecco il primo post.

La mia agricoltura, l'agricoltura di tutti. 

Ciao a tutti, il mio nome é Davide Stringa e sono un imprenditore agricolo.
Quando mi capita di parlare con amici che non hanno a che fare con l'agricoltura o mi capita di incontrare nuove persone, giunti al momento di raccontarsi che cosa facciamo nella vita, alla mia risposta "faccio l'agricoltore", mi sento sempre ed immancabilmente rispondere: " ma dai? Che bello, che fortuna che hai, stai sempre a contatto con la natura. Anch'io vorrei fare l'agricoltore".
Subito mi pervade una sensazione di orgoglio. Penso quanto sia bello che la mia professione sia così considerata, ma poi, dopo aver scambiato quattro chiacchiere, mi accorgo sempre che questa considerazione della professione dell'agricoltore, la gente ce l'ha perché in fondo in fondo non la conosce affatto.
Ragioniamoci su. L'esodo di massa dalle campagne è avvenuto ormai da qualche decennio e da qualche decennio continua specialmente dalle aree più disagiate come quelle collinari o montagnose. Chi mi esprime questa considerazione é figlio, se non addirittura nipote di chi quelle campagne le ha lasciate per cercare la cosiddetta fortuna in cittá. Spesso per queste persone, ciò che mangia arriva direttamente dal supermercato. Le tappe che ha compiuto un pomodoro o una bistecca prima di arrivare nel piatto rimangono un mistero. Del resto non si può sempre pensare all'origine di ogni cosa che compriamo. Anche la nostra mente ha bisogno di saltare passaggi anche perché oggi come non mai è costretta ad un superlavoro vista la difficoltà della vita moderna. Però, chissà perché, mi sembra, vuoi perchè il pomodoro o la bistecca arrivano da un luogo ormai non legato alle vicende quotidiane della gente, vuoi perché la campagna è sempre più vista come luogo di riposo piuttosto che come luogo di produzione, vuoi perché è molto più facile accedere alla produzione di un prodotto meccanico o all'erogazione di un servizio finanziario o assicurativo od informatico dato che nascono in città, che questo pomodoro e questa bistecca assomiglino per molti sempre più ad un qualcosa che in automatico si materializzano nel luogo dove vengono acquistati.
Premesso tutto ciò, il mio forse presuntuoso intento è quello di avvicinare la gente all'agricoltura e quindi anche a ciò che mangia. Eh si, perché purtroppo, anche quello che normalmente viene trasmesso in tv o scritto (per la verità molto raramente) sui giornali, molto spesso non da un quadro obiettivo del mondo agricolo. Anche i giornalisti, del resto, nella maggior parte dei casi non hanno molti contatti con il mondo agricolo poiché vivono in città.
Il settore agricolo, che è un comparto economico come mille altri, è forse però il meno conosciuto. I suoi problemi sono dibattuti solo tra gli addetti ai lavori e non suscitano alcun interesse nell'opinione pubblica, venendo anche così messi molte volte in secondo o in terzo piano da chi opera in sede politica o nelle istituzioni pubbliche.
Nonostante questo, io credo che ci siano persone che nulla hanno a che fare con l'agricoltura, ma che pensano che, dato che è questa che produce il cibo (l'unico forse, tra i beni prodotti, che può essere considerato indispensabile insieme ad alcuni medicinali e ad alcuni indumenti), che l'agricoltura vada difesa non a scapito, si badi bene di altri comparti economici (tutti hanno la loro dignità), ma almeno alla pari.
Scrivo ciò perché (e qui sono sicuro che molti non lo sanno) l'agricoltura è ormai da undici o dodici anni che vive una grave crisi. Molto più grave di quella portata dalla congiuntura mondiale da un paio d'anni a questa parte a quasi tutti gli altri comparti dell'economia mondiale.
Mi piacerebbe essere un piccolo messaggero che di porta in porta, discretamente bussa chiedendo solo di essere ascoltato per qualche minuto su di un problema che, in fondo, coinvolge un po' tutti.
Tutti, infatti, mangiano.
Davide

mercoledì 9 febbraio 2011

Energia agro-eolica. Ovvero: come risolvere due problemi

In un intelligente post pubblicato da Luca Priami il 13 gennaio scorso sul sito Energia Libera, si mette in risalto l'ennesimo punto a favore delle energie rinnovabili "coltivate" nelle aziende agricole. Secondo uno studio dell'Ames Laboratory dell'U.S. Department of Energy, infatti, le turbolenze create dalle pale eoliche porterebbero una serie di vantaggi alle coltivazioni poste sotto di esse. In primis, il flusso d'aria generato, contribuirebbe a diminuire l'umidità dell'aria a contatto con le piante e quindi ridurrebbe l'insorgenza di malattie causate da funghi e muffe. Non solo, verrebbe ridotta anche la cosiddetta "evapotraspirazione" delle piante che, rimanendo più fresche durante il giorno, non suderebbero ma manterrebbero più efficiente la loro circolazione linfatica.
Verrebbe anche migliorata la fotosintesi, riducendo la quantità di CO2 nell'aria. 
Insomma, i classici due piccioni con una fava. Si produrrebbe energia pulita e si avrebbero colture più efficienti in un sol colpo.


martedì 8 febbraio 2011

Quanto pesa l'agricoltura italiana?

Con il forum sulla "PAC verso il 2020" che si terrà il prossimo 22 febbraio, si parlerà di risorse naturali, alimentazione e tutela del territorio, ma, soprattutto, si stabilirà quanto vale per l'Italia la propria agricoltura.
C'è, infatti, un sostanziale disequilibrio tra quanto l'Italia contribuisce al bilancio dell'Unione Europea e, quanto l'Italia riceve in termini di aiuti (oggi più che mai fondamentali) per la propria agricoltura. 
L'Italia aiuta l'UE con 13,5%. L'UE aiuta l'Italia con un 10%. Manca un importantissimo 3,5% che, per quanto non possa certo compensare tutto ciò che il comparto agricolo ha perso negli ultimi 10-12 anni, almeno può dare un primo aiuto. 
Soprattutto, verrebbe data l'importanza che spetta a chi, con duro lavoro e poche soddisfazioni economiche, garantisce qualità agli italiani che comprano prodotti agricoli italiani.

mercoledì 2 febbraio 2011

Dell'agricoltura non si butta via niente

"Dell'agricoltura non si butta via niente" potremmo dire, riferendoci al famoso detto sul maiale.
L'agricoltura, produce molti scarti. Alcuni sono naturali scarti di produzione come accade in qualunque altro settore. Molti, invece, sono scarti di prodotto buono che un certo tipo di mercato, il più grande tipo di mercato, ti impone di buttare via. Su questo argomento varrà la pena di aprire post dedicati, perchè troppo importante e, purtroppo, del tutto assurdo.
Qui, vogliamo parlare degli scarti "buoni". Quegli scarti che, riciclati, permettono ancora di produrre. In questo caso, producono energia.
Leggete questo articolo tratto da Repubblica

domenica 30 gennaio 2011

Medio oriente e cibo

Da un bell'articolo pubblicato su Agronotizie e da un documento contenente dichiarazioni di parlamentari europei si evince quanto l'agricoltura debba ritornare strategica. A seguito delle rivolte scoppiate nei Paesi nordafricani, cominciamo a capire come la difesa della nostra produzione agroalimentare debba essere una prerogativa. 
Questo lo dico, ovviamente, sempre nell'ottica di una equa distribuzione mondiale delle risorse alimentari, ma sempre ricordando che gli agricoltori italiani hanno come principale concorrente il prodotto che arriva da Paesi poveri e senza adeguati controlli di salubrità.
Un pericolo che coinvolge non solo gli agricoltori che devono affrontare una concorrenza "sleale" in termini di prezzi, ma tutta la popolazione che viene approvvigionata anche e spesso di alimenti provenienti da Paesi ad alto rischio socio-politico. 
Si parla ormai da anni del rischio che corre l'Italia dovendosi rifornire di energia in buona parte dall'estero. Mai nessuno ha parlato del rischio che si può correre andando ad approvvigionarsi di cibo in nazioni difficili.

Le agroenergie


Come ben potete sapere, ormai da qualche anno, le energie rinnovabili sono entrate a far parte del lessico quotidiano delle persone. 
Alcune di queste fonti di energia vedono le aziende agricole protagoniste. Oltre infatti a rappresentare un buon modo per diversificare la produzione delle aziende agricole e sganciarle dalla morsa delle sole produzioni alimentari che, oggi come oggi dato il calo quasi verticale dei prezzi negli ultimi anni (tranne una qualche parvenza di ripresa negli ultimi mesi), portano in campo (è proprio il caso di dirlo) una nuova forma di produzione diffusa dell'energia.
L'azienda agricola, infatti, può produrre energia elettrica in vari modi.
Uno di questi è la produzione di biogas, cioè gas prodotto sfruttando la fermentazione di prodotti agricoli e reflui zootecnici fluidi e solidi destinando allo scopo parte della sua produzione di alcune colture specifiche quali ad esempio il mais.

Digestore di un impianto di biogas

Un altro modo è quello di destinare una piccola, a volte piccolissima parte dei suoi terreni (le porzioni variano dall'1% al 3%) a seconda della sua superficie e a seconda di alcuni parametri dettati dall'Agenzia delle entrate con la sua circolare numero 32/E del 2009 all'installazione di pannelli fotovoltaici. 
Gli impianti fotovoltaici che si possono costruire in questo caso, sono di potenza massima di 1 MWp (un megawatt) e occuperebbero al massimo 2 ettari e mezzo di terreno. Dati i costi di tali impianti, in genere vengono realizzati da aziende agricole quantomeno medio-grandi, vale a dire con superfici di almeno 70-100 ettari e oltre. Dati poi i parametri della suddetta circolare dell'Agenzia delle Entrate, un'azienda di 70 ettari potrebbe realizzare al massimo un impianto di 900 kWp per conservare il reddito agrario su tale produzione, andando ad occupare meno di 2 ettari, cioè circa il 2,9%. Quasi sicuramente, però, ne realizzerà uno di potenza inferiore, magari solo di 3-400 kWp occupando solo 0,6-0,8 ettari, vale a dire meno dell'1% della sua superficie di coltivazione. 
Soprattutto nel caso degli impianti fotovoltaici quindi, si avrebbe una valida forma di diversificazione e di integrazione di reddito per le aziende agricole che non sottrarrebbe praticamente superficie ai terreni destinati alle produzioni alimentari umane e zootecniche.

Impianto fotovoltaico presso la Tenuta Salvadora realizzato da Solar Ventures
Ci sono anche altre tecnologie che permettono all'azienda agricola di produrre energia elettrica, quale ad esempio la pirolisi, ma che al momento non hanno ancora un elevato grado di messa a punto.
Per quanto riguarda i biocarburanti poi, ci sono colture ad hoc quali la colza che viene spremuta e trasformata prima in olio e poi in biodiesel. Il biodiesel, però, pur inquinando molto meno del diesel tradizionale, ha purtroppo ancora un costo di produzione elevato, almeno finchè non si troveranno colture adatte alle nostre latitudini con maggiori rese. 

La mia introduzione al blog


Cari amici,
credo che ogni tanto ripubblicherò il post d'esordio. In questo, infatti, spiego lo scopo del blog.
Non vogliatemene, ma ritengo sia necessario perchè anche i nuovi partecipanti al blog lo possano comprendere.
Grazie a tutti. 
Davide

Ecco il primo post.

La mia agricoltura, l'agricoltura di tutti.

Ciao a tutti, il mio nome é Davide Stringa e sono un imprenditore agricolo.
Quando mi capita di parlare con amici che non hanno a che fare con l'agricoltura o mi capita di incontrare nuove persone, giunti al momento di raccontarsi che cosa facciamo nella vita, alla mia risposta "faccio l'agricoltore", mi sento sempre ed immancabilmente rispondere: " ma dai? Che bello, che fortuna che hai, stai sempre a contatto con la natura. Anch'io vorrei fare l'agricoltore".
Subito mi pervade una sensazione di orgoglio. Penso quanto sia bello che la mia professione sia così considerata, ma poi, dopo aver scambiato quattro chiacchiere, mi accorgo sempre che questa considerazione della professione dell'agricoltore, la gente ce l'ha perché in fondo in fondo non la conosce affatto.
Ragioniamoci su. L'esodo di massa dalle campagne è avvenuto ormai da qualche decennio e da qualche decennio continua specialmente dalle aree più disagiate come quelle collinari o montagnose. Chi mi esprime questa considerazione é figlio, se non addirittura nipote di chi quelle campagne le ha lasciate per cercare la cosiddetta fortuna in cittá. Spesso per queste persone, ciò che mangia arriva direttamente dal supermercato. Le tappe che ha compiuto un pomodoro o una bistecca prima di arrivare nel piatto rimangono un mistero. Del resto non si può sempre pensare all'origine di ogni cosa che compriamo. Anche la nostra mente ha bisogno di saltare passaggi anche perché oggi come non mai è costretta ad un superlavoro vista la difficoltà della vita moderna. Però, chissà perché, mi sembra, vuoi perchè il pomodoro o la bistecca arrivano da un luogo ormai non legato alle vicende quotidiane della gente, vuoi perché la campagna è sempre più vista come luogo di riposo piuttosto che come luogo di produzione, vuoi perché è molto più facile accedere alla produzione di un prodotto meccanico o all'erogazione di un servizio finanziario o assicurativo od informatico dato che nascono in città, che questo pomodoro e questa bistecca assomiglino per molti sempre più ad un qualcosa che in automatico si materializzano nel luogo dove vengono acquistati.
Premesso tutto ciò, il mio forse presuntuoso intento è quello di avvicinare la gente all'agricoltura e quindi anche a ciò che mangia. Eh si, perché purtroppo, anche quello che normalmente viene trasmesso in tv o scritto (per la verità molto raramente) sui giornali, molto spesso non da un quadro obiettivo del mondo agricolo. Anche i giornalisti, del resto, nella maggior parte dei casi non hanno molti contatti con il mondo agricolo poiché vivono in città.
Il settore agricolo, che è un comparto economico come mille altri, è forse però il meno conosciuto. I suoi problemi sono dibattuti solo tra gli addetti ai lavori e non suscitano alcun interesse nell'opinione pubblica, venendo anche così messi molte volte in secondo o in terzo piano da chi opera in sede politica o nelle istituzioni pubbliche.
Nonostante questo, io credo che ci siano persone che nulla hanno a che fare con l'agricoltura, ma che pensano che, dato che è questa che produce il cibo (l'unico forse, tra i beni prodotti, che può essere considerato indispensabile insieme ad alcuni medicinali e ad alcuni indumenti), che l'agricoltura vada difesa non a scapito, si badi bene di altri comparti economici (tutti hanno la loro dignità), ma almeno alla pari.
Scrivo ciò perché (e qui sono sicuro che molti non lo sanno) l'agricoltura è ormai da undici o dodici anni che vive una grave crisi. Molto più grave di quella portata dalla congiuntura mondiale da un paio d'anni a questa parte a quasi tutti gli altri comparti dell'economia mondiale.
Mi piacerebbe essere un piccolo messaggero che di porta in porta, discretamente bussa chiedendo solo di essere ascoltato per qualche minuto su di un problema che, in fondo, coinvolge un po' tutti.
Tutti, infatti, mangiano.
Davide

venerdì 28 gennaio 2011

Imprese agricole innovative

Per la serie, le imprese agricole italiane hanno un grande know-how e non se ne rendono conto.
Provate a leggere questo articolo tratto da Agronotizie.

giovedì 27 gennaio 2011

Il pomodoro da industria. Una coltura storica destinata a passare alla storia?

Il comparto del pomodoro da industria sta vivendo una fase decisiva per la sua storia. 
A partire dalla campagna 2011, infatti, i produttori non beneficeranno più di parte dei contributi da parte dell'Unione Europea (non sto a tediarvi con la spiegazione della definizione di contributo accoppiato e disaccoppiato, che a voi "non addetti ai lavori" annoierebbe e basta) che fino ad ora (o meglio, fino a qualche anno fa) lo rendevano interessante sotto l'aspetto reddituale. 
Senza questo contributo, buona parte delle aziende agricole che coltivano pomodoro da trasformazione non avrà più interesse a produrre questa nobile bacca, così importante nella nostra caratteristica dieta mediterranea.
Macchina per la raccolta meccanica del pomodoro da industria

Le aziende non più interessate sono quelle che lo producono da pochi anni e non hanno quindi una quota storica di produzione, quelle che hanno sì una quota storica di produzione, ma lo producono da così tanti anni da avere i terreni "stanchi" e che quindi non possono garantire rese ottimali dal punto di vista economico, oppure aziende agricole non associate a consorzi di trasformazione come ad esempio il consorzio padano ortofrutticolo, meglio conosciuto come Co.pad.or. che, a fine trasformazione possono spesso garantire il pagamento di un prezzo un po' più alto rispetto alle altre industrie di trasformazione.

Caricamento su rimorchio del pomodoro da industria
La domanda che tutti gli addetti ai lavori (agricoli) si pongono è se l'industria di trasformazione sarà disposta a pagare questa differenza di prezzo che il mancato contributo ha lasciato o se invece, preferirà rivolgersi a fornitori stranieri, dove, dati i minori costi di produzione dovuti a minor costo del lavoro, mancanza di adeguati disciplinari di produzione o minori controlli sul prodotto, possono acquistare materia prima a prezzi più bassi.
Anche a noi piacerebbe poter dare all'industria il nostro prodotto agli stessi prezzi, ma non possiamo a causa della presenza di costi alti dati dal rispetto dei disciplinari di produzione (questo ci fa piacere, perchè possiamo così garantire un ottimo prodotto), ma soprattutto dal costo del lavoro e della burocrazia.
In entrambi i casi, se la nuova legge sull'etichettatura dei prodotti alimentari che obbliga ad indicare la provenienza della materia prima funzionerà, lo sapremo semplicemente leggendo l'etichetta stessa. 
Insomma nel giro di un anno sapremo se una coltura storica rimarrà coltura o passerà alla storia.
Certo è, che se così dovesse essere, sarebbe l'ennesimo schiaffo morale, ma soprattutto economico all'agricoltura italiana.

sabato 22 gennaio 2011

Se ti fa piacere puoi vedere chi sono cliccando su questo pulsante View Davide Stringa's profile on LinkedIn

Chi conosce i veri prezzi delle materie prime di cui ci nutriamo?

Siamo in uno strano momento. I prezzi dei cereali crescono (a volte con titoloni sui giornali), ma rimangono pur sempre inferiori di oltre il 20% rispetto alla bolla speculativa del 2008. I grani teneri si aggirano attorno ai 29-30 Euro al quintale dai 13-14 che costavano sino a qualche mese fa.
Molti diranno che costano cari. Vi faccio un esempio: Nel 1994, il prezzo del grano tenero, passò da quello che era il prezzo standard di 30-35.000 Lire al quintale, a 50.000. Vale a dire da 15,50-18,00 Euro a 26.
Facendo le dovute valutazioni dell'effetto dell'inflazione, il prezzo del 1994 passava da 26-30 Euro al quintale a 43. Oppure, ragionando al contrario, quello di oggi, vista la riduzione del potere d'acquisto della moneta unica passerebbe dalle allora 18-21.000 lire a 30.000 lire.
Girala come vuoi, i prezzi rimangono comunque bassi.
Il rovescio della medaglia è invece per gli allevatori. Il prezzo della carne non ripaga l'aumento del prezzo dei prodotti per l'alimentazione zootecnica.
Come diranno in molti "questi agricoltori non sono mai contenti".
E provaci tu ad essere contento con margini medi sulla produzione che si aggirano attorno al 2%.

domenica 19 dicembre 2010

La mia agricoltura, l'agricoltura di tutti.

Ciao a tutti, il mio nome é Davide Stringa e sono un imprenditore agricolo.
Quando mi capita di parlare con amici che non hanno a che fare con l'agricoltura o mi capita di incontrare nuove persone, giunti al momento di raccontarsi che cosa facciamo nella vita, alla mia risposta "faccio l'agricoltore", mi sento sempre ed immancabilmente rispondere: " ma dai? Che bello, che fortuna che hai, stai sempre a contatto con la natura. Anch'io vorrei fare l'agricoltore".
Subito mi pervade una sensazione di orgoglio. Penso quanto sia bello che la mia professione sia così considerata, ma poi, dopo aver scambiato quattro chiacchiere, mi accorgo sempre che questa considerazione della professione dell'agricoltore, la gente ce l'ha perché in fondo in fondo non la conosce affatto.
Ragioniamoci su. L'esodo di massa dalle campagne è avvenuto ormai da qualche decennio e da qualche decennio continua specialmente dalle aree più disagiate come quelle collinari o montagnose. Chi mi esprime questa considerazione é figlio, se non addirittura nipote di chi quelle campagne le ha lasciate per cercare la cosiddetta fortuna in cittá. Spesso per queste persone, ciò che mangia arriva direttamente dal supermercato. Le tappe che ha compiuto un pomodoro o una bistecca prima di arrivare nel piatto rimangono un mistero. Del resto non si può sempre pensare all'origine di ogni cosa che compriamo. Anche la nostra mente ha bisogno di saltare passaggi anche perché oggi come non mai è costretta ad un superlavoro vista la difficoltà della vita moderna. Però, chissà perché, mi sembra, vuoi perchè il pomodoro o la bistecca arrivano da un luogo ormai non legato alle vicende quotidiane della gente, vuoi perché la campagna è sempre più vista come luogo di riposo piuttosto che come luogo di produzione, vuoi perché è molto più facile accedere alla produzione di un prodotto meccanico o all'erogazione di un servizio finanziario o assicurativo od informatico dato che nascono in città, che questo pomodoro e questa bistecca assomiglino per molti sempre più ad un qualcosa che in automatico si materializzano nel luogo dove vengono acquistati.
Premesso tutto ciò, il mio forse presuntuoso intento è quello di avvicinare la gente all'agricoltura e quindi anche a ciò che mangia. Eh si, perché purtroppo, anche quello che normalmente viene trasmesso in tv o scritto (per la verità molto raramente) sui giornali, molto spesso non da un quadro obiettivo del mondo agricolo. Anche i giornalisti, del resto, nella maggior parte dei casi non hanno molti contatti con il mondo agricolo poiché vivono in città.
Il settore agricolo, che è un comparto economico come mille altri, è forse però il meno conosciuto. I suoi problemi sono dibattuti solo tra gli addetti ai lavori e non suscitano alcun interesse nell'opinione pubblica, venendo anche così messi molte volte in secondo o in terzo piano da chi opera in sede politica o nelle istituzioni pubbliche.
Nonostante questo, io credo che ci siano persone che nulla hanno a che fare con l'agricoltura, ma che pensano che, dato che è questa che produce il cibo (l'unico forse, tra i beni prodotti, che può essere considerato indispensabile insieme ad alcuni medicinali e ad alcuni indumenti), che l'agricoltura vada difesa non a scapito, si badi bene di altri comparti economici (tutti hanno la loro dignità), ma almeno alla pari.
Scrivo ciò perché (e qui sono sicuro che molti non lo sanno) l'agricoltura è ormai da undici o dodici anni che vive una grave crisi. Molto più grave di quella portata dalla congiuntura mondiale da un paio d'anni a questa parte a quasi tutti gli altri comparti dell'economia mondiale.
Mi piacerebbe essere un piccolo messaggero che di porta in porta, discretamente bussa chiedendo solo di essere ascoltato per qualche minuto su di un problema che, in fondo, coinvolge un po' tutti.
Tutti, infatti, mangiano.
Davide